Gli effetti dell’esposizione al caldo sulla salute umana, in particolare sulle categorie maggiormente vulnerabili è oramai confermato dalla comunità scientifica internazionale. L’esposizione quotidiana alle elevate temperature durante la stagione calda rappresenta un grave problema anche in ambito occupazionale, soprattutto per i lavoratori che svolgono la propria mansione in ambienti non condizionati, esposti per lunghi periodi di tempo alla radiazione solare, magari anche a contatto con superfici o macchinari che emettono calore e spesso indossando dispositivi di protezione individuale (DPI) che rendono difficile la dispersione del calore corporeo. L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ed il crescente aumento dell’età media dei lavoratori, non fanno che accentuare questo rischio. Oltre a questo, dobbiamo considerare che condizioni di caldo intenso sono sempre più frequenti durante la stagione estiva, ma anche nelle stagioni intermedie, in molti paesi europei con particolare riferimento ai quelli che si affacciano sul bacino del mediterraneo. Secondo il NOAA (2019), il 2019 è stato il secondo anno più caldo degli ultimi 140 anni e il 2020 è stato uno dei tre anni più caldi mai registrati a livello globale (WMO 2020). Per questo motivo sono sempre più numerosi gli studi che analizzano l’impatto dello stress da caldo sulla salute e produttività dei lavoratori in termini di riduzione delle prestazioni cognitive e fisiche sul posto di lavoro oltre che essere associato a un aumento della frequenza degli infortuni. Assume quindi sempre maggiore rilevanza l’adozione di misure preventive volte a ridurre l’impatto del caldo sulla salute dei lavoratori.
In questo primo Report sulla Revisione dei sistemi di allerta da caldo e selezione degli indicatori da utilizzare per valutare l’impatto sui lavoratori, redatto all’interno delle attività di ricerca del progetto Worklimate, sono state raccolte informazioni circa l’indicatore di stress termico e le relative soglie di rischio (climatologiche, biometeorologiche, epidemiologiche) utilizzate nei sistemi di allerta al momento sviluppati o che comunque sono stati utilizzati per applicazioni legate alla valutazione dello stress da caldo in ambito occupazionale, oltre che l’eventuale presenza di linee guida comportamentali o piani di gestione del rischio associati al servizio. La revisione ha messo in luce come la maggior parte delle nazioni europee non presenti un sistema di allerta termico specifico per il settore occupazionale e, nei casi in cui esso è presente, non è personalizzato, cioè calibrato in funzione delle caratteristiche del lavoratore, della sua attività e dell’ambiente di esposizione, ma fornisce informazioni generalizzate per l’ambito occupazionale. Il report analizza i sistemi di allerta da caldo attualmente presenti in ambito internazionale (disponibili in lingua inglese) che sono indirizzati direttamente ai lavoratori, la tipologia di indicatore impiegato ed il canale informativo utilizzato per diffondere il messaggio. Per diversi motivi, tra cui il fenomeno del cambiamento climatico, l’emergenza sanitaria in atto legata alla diffusione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2, il crescente aumento dell’età media dei lavoratori, la tutela dai rischi connessi alle temperature estreme richiede sempre una crescente attenzione. Sistemi di allerta specifici e calibrati per il settore occupazionale integrati con informazioni operative per contrastare gli effetti del caldo in ambito lavorativo rappresentano delle strategie di adattamento fondamentali per proteggere in primis la salute dei lavoratori e che permettono di contenere gli importanti effetti economici legati alla perdita di produttività caldo correlata dovuta a un aumento dei costi-sociali (ad es. aumento degli infortuni) e a una generalizzata minore efficienza dei lavoratori.
Qui è possibile consultare e scaricare il Report sulla Revisione dei sistemi di allerta da caldo e selezione degli indicatori da utilizzare per valutare l’impatto sui lavoratori