Pubblicato sulla Rivista Environmental Research and Public Health (Volume 19, Issue 13) un nuovo articolo sui risultati di uno studio pilota condotto nel 2020 in Italia durante la pandemia COVID-19 sulla percezione dello stress da calore da parte dei lavoratori, all’interno delle attività del Progetto Worklimate.
Molti lavoratori sono esposti agli effetti del calore e spesso a temperature estreme. Lo stress da calore si è ulteriormente aggravato, nel corso della pandemia, per il costante uso dei dispositivi di protezione individuale per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2. Tuttavia, di solito la percezione del rischio stress da calore da parte dei lavoratori è spesso bassa, con effetti negativi su salute e produttività. Lo studio pubblicato mira a identificare le esigenze dei lavoratori e le lacune nella conoscenza del rischio caldo, suggerendo l’adattamento di misure che soddisfino al meglio le esigenze sia dei lavoratori che dei datori di lavoro. Un’indagine trasversale attraverso un questionario online è stata condotta in Italia nei mesi più caldi del 2020 (giugno-ottobre) attraverso diversi canali multimediali. In totale sono stati raccolti e analizzati 345 questionari. L’intero campione di intervistati ha dichiarato che il caldo è un importante fattore di perdita di produttività e l’83% dei lavoratori non ha ricevuto avvisi sul caldo dal proprio datore di lavoro. In questo contesto, Internet è considerato la principale fonte di informazioni sulle malattie legate al caldo nei luoghi di lavoro. I risultati evidenziano la necessità di aumentare la percezione dello stress da caldo occupazionale da parte dei lavoratori per salvaguardarne la salute e la produttività. Circa due terzi del campione ha dichiarato che lavorare al sole senza avere accesso a zone d’ombra, lavorare in ambienti chiusi senza un’adeguata ventilazione e nelle vicinanze di fuoco, vapore e superfici calde rappresentano i principali fattori di rischio per le lesioni.
L’indagine ha evidenziato che il campione di lavoratori intervistati percepisce un rischio durante un’ondata di calore e che, in media, il rischio calore può essere potenzialmente letale. Purtroppo, però, alcune categorie di lavoratori, soprattutto i più giovani, hanno ancora una bassa percezione del rischio e questo suggerisce la necessità di adottare politiche idonee per aumentare la percezione del rischio legato al caldo. Inoltre, c’è poca consapevolezza di come le misure preventive sul luogo di lavoro possano ridurre la gravità del rischio caldo e quindi il numero di infortuni legati al caldo è stato attribuito, dalla maggior parte dei lavoratori intervistati, alla mancanza di formazione o comunque a una formazione inadeguata: infatti meno di un lavoratore su cinque ha ricevuto un allert in relazione a possibili ondate di calore o gestione del rischio caldo. Sebbene questa indagine rappresenti solo un campione di lavoratori, con evidenti limiti, soprattutto per quanto riguarda la scarsa rappresentanza di lavoratori all’aperto, anche a causa delle restrizioni imposte dalla emergenza pandemica COVID-19, evidenzia che i lavoratori italiani non sono ben preparati alla probabilità di un aumento dell’incidenza dello stress da caldo dovuto ai cambiamenti climatici. È quindi necessario migliorare le strategie di prevenzione del rischio caldo in ambito lavorativo, aumentando la formazione a tutti i livelli e sviluppando adeguati sistemi di allerta per la tutela dei lavoratori.
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